Open d’Olanda 5/6 marzo 2011-03-09
Ero a bordo di uno dei quadrati di gara. I combattimenti si erano susseguiti a ritmo incessante per tutta la giornata, ma nessuno, fino adesso, mi aveva entusiasmato.
Croati, marocchini, olandesi, francesi e tanti altri si erano dati il cambio in una giostra di pugni e calci.
Gli atleti avevano dimostrato tutti una grande intensità, peraltro normale quando si combatte a livelli così alti, tuttavia, ancora nessuno mi aveva trasmesso una vera emozione.
“Forse ne ho visti fin troppi” pensavo, ed in effetti, con 40 anni di pratica e 35 di gare, potevo anche ritenere normale un tale tipo di pensiero.
Improvvisamente lo notai. Solitario, testa completamente rasata, alto circa un metro e novanta, fisico asciutto, scattante, vibrante. Si stava scaldando. Mi colpì non tanto la sua velocità, quanto l’espressione dura del suo volto, abbinata, paradossalmente, ad un evidente sentimento di paura. Sì, l’uomo, uno svedese, aveva paura. Gliela lessi negli occhi, la percepii nei suoi movimenti, da come guardava gli altri quasi di sottecchi. Ma lessi anche qualcos’altro.
“Strano” pensai, e cominciò a montare la mia curiosità.
Nel frattempo, un ottimo combattente marocchino stava mettendo in evidenza grandi abilità tecniche abbinate ad un coraggio da leone. Per un attimo, in cuor mio, sperai che arrivassero a confrontarsi.
Li chiamarono, lo svedese e il marocchino.
Uomini forti e preparati che combattono la loro paura. La cosa mi incuriosiva. Avrei visto, comunque, fin dalle primissime battute di che pasta era fatto lo svedese.
Entrò nel quadrato. Voglia di fare preponderante. Un veloce saluto ai giudici e all’avversario e attese nervoso il via dell’arbitro.
Ottima postura di piedi, gambe, busto e braccia me lo catalogarono come un atleta consapevolmente preparato.
Attese e studiò l’avversario marocchino. A pochi metri da me, un grosso gruppo incitava il marocchino: i compagni di squadra.
Lui, era solo. Partirono le prime bordate da ambedue le parti. Pugni che volavano rasentando le orecchie, calci al volto che per pochissimo non portavano via la testa. Poi, con un pugno, il marocchino lo colpì in piena faccia. Lo svedese lo sentì. Gli occhi strabuzzarono ognuno per conto suo. Velocissimo allora, reagì e rispose con un saettante calcio alla testa da cortissima distanza, dimostrando non solo prontezza di spirito ma anche una grandissima abilità tecnica. Aveva risposto deciso ma gli occhi parlavano ancora del colpo appena preso in faccia.
L’arbitro fermò l’incontro e controllò i danni. Nessuno dei due si lamentò. Sguardo nel vuoto, aspettavano solo il via per riprendere un discorso, del tutto personale, appena interrotto.
Non c’era animosità nel loro atteggiamento , né nei loro occhi. Nessun punto assegnato.
Entrambi accettarono il giudizio arbitrale e ripresero a combattere. Lo svedese improvvisamente gettò un urlo e si lanciò in avanti con una raffica di pugni. Agilissimo il marocchino evitò, schivò, parò e, al limite dell’uscita dal quadrato, che gli sarebbe costato l’ammonizione e di conseguenza un punto a favore dello svedese, fece di tutto per non uscire. Lo svedese allora, arrivato praticamente corpo a corpo, improvviso come l’attacco di pugni di poc’anzi, lo afferrò e lo fece volare sopra la propria testa, facendolo atterrare pesantemente al suolo. Lo svedese fu sul punto di sferrare il colpo definivo alla testa del marocchino a terra quando questi, a sua volta, si divincolò come un gatto impazzito, e da terra gli sferrò un calcio alla tempia. Solo i riflessi da ghepardo salvarono la testa dello svedese che fu costretto ad una improvvisa parate che concedette quel decimo di secondo necessario al marocchino per rialzarsi.
Rapidamente si riaffrontarono. I secondi passavano e stava per scadere il tempo a diposizione. Nessuno dei due voleva la parità e altri tre minuti di delirio immediato. Lo svedese si lanciò di nuovo in avanti e sferrò un calcio circolare alla tempia. l’avversario intuì, parò e in volo si girò sul posto e, con una rotazione completa di 360° su sé stesso, rispose con un completo calcio circolare alla nuca dello svedese.
Tre punti. Tempo scaduto. Vittoria.
I due, dopo una giornata intera di combattimenti, si guardarono sfiniti, e si abbracciarono come soltanto chi è stato in una terra dura, sconosciuta e inospitale, e ne è venuto fuori, può capire. Il grande svedese tradì una piccola nota di disappunto ma riconobbe il merito.
Eleganza nella sconfitta.
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