11 gennaio 2012

Il mare d'inverno

Giappone 1978, casa del Maestro Kubota

Mi sento terribilmente impacciato. Il maestro Kubota, con la massima gentilezza possibile, cerca di impostare la mia impugnatura.
La mia presa è goffa e veramente non mi capacito di come questo vecchietto, seduto sul tatami di fianco a me, riesca tanto bene nell’esecuzione degli ideogrammi attraverso lo “Shodō” la "via della scrittura", famosa arte calligrafica giapponese.
Ciò che il Maestro sta cercando di spiegarmi è che l'azione del “fude”, il pennello, trasforma in segni i movimenti del calligrafo. Questi segni possono essere più o meno decisi, veloci o sottili, ma contengono sempre una forza che nella tradizione orientale viene chiamata ki, traducibile approssimativamente in "energia vitale". Questa forza circola nei segni e nei rapporti che s'instaurano tra di loro. La trascrizione di un carattere fornisce la rappresentazione di un'idea, ma la sua trasposizione in calligrafia tende a trasmettere soprattutto il rapporto che s'instaura tra il Ki del calligrafo e la circolazione del Ki che l’ideogramma possiede.
Kubota-san è l’insegnante di lingua giapponese e di cultura nipponica assegnatomi per tutto il mio periodo di approfondimento del karate in Giappone.
Non parla italiano e ci capiamo in inglese.
Da bambino ho vissuto con la mia famiglia a Montreal, in Canada, per cinque anni: la mia prima lingua è stata l’inglese.
Prima d’iniziare la scrittura vera e propria mi fa raschiare lo “suzuri”, un pezzo di pietra nera per una buona mezz’ora. Poi versiamo dell’acqua e amalgamiamo il tutto.
Il maestro con la sua attrezzatura, io con la mia.
Nel corso della preparazione il maestro si perde in una calma che io, all’età di quindici anni, trovo irritante. Negli anni avrei capito lo scopo e l’utilità dell’immergersi nella preparazione per ritrovare pace, concentrazione, senso del centro e dell’universo.
Guardo la sua mano fluttuare sulla” kami”, la carta. Il pennello sembra veleggiare come una piccola barca sullo specchio di un lago pacifico.
Più guardo Kubota-san e meno mi capacito di come riesca ad essere così fluido ed elegante, tingendo il fude senza farlo minimamente sgocciolare e di come, grazie ad una dolce e sicura vergata, riesca a disegnare sulla kami ideogrammi così pieni di forza e grazia.
“Come fa a scrivere così bene, sensei?”
Senza interrompere la manovra di intingere il pennello e scrivere mi risponde, sorridendomi:
“Grande pratica e sacrificio, Chris-chan”.
Chan è il suffisso che gli adulti giapponesi usano nei confronti dei ragazzi, ma è anche un vezzeggiativo che indica affetto e familiarità.
“Sacrificio?”
Il sensei, il maestro, rimane silenzioso.
Poi mi guarda dal fondo di quei suoi occhi orientali che non riesco mai a vedere bene:
“Cosa sei disposto a sacrificare?” – “WHAT ARE YOU READY TO SACRIFICE?”
Mi domanda, notando il mio nervosismo.
“Sicuramente ci sono delle cose a cui aspiri. Cosa vuoi fare da grande? Chi o cosa vuoi diventare?”
Gli rispondo che il mio più grande sogno è quello di far parte della squadra nazionale italiana di kata. L’esecuzione a tre uomini, perfettamente sincronizzata, mi affascina moltissimo.
“Ok, ma cosa sei disposto a sacrificare?” – “Ok, BUT WHAT ARE YOU READY TO SACRIFICE?”
Gli rispondo un po’ incerto che sarei disposto a qualsiasi cosa.
“Ricordalo”
“Cosa sensei?”
“Quello che mi hai appena detto: qualsiasi cosa”.

Italia, qualche anno più tardi

Sono stato sconfitto al primo turno della Coppa Shotokan, una delle più importanti competizioni nazionali dell’anno. Nell’edizione precedente ero stato uno dei massimi protagonisti e quest’anno,
come il più inesperto degli atleti, sono stato eliminato al primo turno.
Non succedeva più da tanti anni. Più che di una sconfitta si è trattata di una disfatta, e proprio per questo il suo sapore è stato ancora più amaro, bruciante, oserei dire umiliante. Tornato a casa affranto, le parole dei miei familiari a nulla sono valse.
Mi sono trovato in pieno inverno, in spiaggia, per la mia routine di preparazione atletica. Faceva un freddo terribile. Mi sentivo solo, depresso. Anche il mio Maestro, quello italiano, sembrava non comprendermi.
Mi sono accanito su me stesso con scatti sulla sabbia, flessioni, addominali, salti, kata e combinazioni di combattimento a rotta di collo.
Potrà essere sufficiente tutto questo per riconquistare il mio posto nella graduatoria nazionale?
I giorni, le settimane, i mesi di allenamento si sono susseguiti, ma sentivo che stavo perdendo la mia sicurezza interiore.
Un giorno, di fronte al mare d’inverno, dopo l’ennesimo scatto, mi piego sulle ginocchia dalla fatica.
Insidiosa e subdola arriva, non so nemmeno io da dove, la domanda:
“Ma ne vale veramente la pena?
Mi alzo piano dalla sabbia.
Quasi la vedo, cupa, tenebrosa, montare senza via di scampo, l’onda di dubbi che si riversa nella mia mente, oscurandola.
Mi volto a guardare il mare. Ansimo, mentre nuvole bianche escono dalla mia bocca. Sento il sudore che comincia a ghiacciarsi sulla faccia. Il mare mi guarda.
Piego la testa e cerco dentro di me non so nemmeno io cosa.
Poi, da lontano, riecheggia il vago ricordo di quella domanda così misteriosa, che allora non avevo nemmeno ben compreso:
“Chris-chan, WHAT ARE YOU READY TO SACRIFICE?”
Dal più profondo della mia anima scorgo un’energia, una forza, una volontà d’affermazione di cui ignoravo totalmente l’esistenza.
Mi scopro a rispondermi, dentro la testa, con un sussurro:
“… tutto …”.
Poi, l’affermazione trova in qualche modo benzina e comincia a bruciare dentro la mente sempre più forte, inarrestabile e con un filo di voce, che m’accorgo essere la mia, replico:
“Tutto!”.
Il fuoco allora divampa e diventa un incendio che mi scoppia dentro il petto, dentro tutto me stesso e urlo la mia risposta al mare d’inverno:
“TUTTO, TUTTO, TUTTO per Dio! Non mi fermerò davanti a nulla! Farò tutto ciò che servirà” e grido come un pazzo tutta la mia frustrazione che ora si è trasformata in una determinazione mai provata prima.
Solo, davanti al mare d’inverno ho trovato la mia motivazione. Sono pronto.
L’anno dopo, il 1983, vinco il titolo italiano, due titoli europei, a squadre e individuale, e vengo convocato in vista del mondiale.
Domo arigato dozaimashita, grazie, sensei Kubota.

31 dicembre 2011

Christian Gonzales y Herrera

Nessun commento: