22 luglio 2015

SULLA VIA DI NIZZA, 22 luglio 2015



La situazione aveva preso una piega inaspettata.
Stavo facendo allenamento. Preparazione atletica, nello specifico scatti, balzi e allunghi in velocità. Eseguivo ogni esercizio per tre volte, ma ad ogni pausa alternavo esercizi di stretching. Al penultimo allungo – trenta metri – l’interno coscia destro ha deciso di fare di testa sua.
Stavo spingendo deciso con la punta del piede destro per sfruttare il massimo di distensione della gamba – avevo scoperto che in tal modo i mae geri diventavano molto più lunghi ed esplosivi – quando d’improvviso ho sentito il muscolo accorciarsi come se dovesse diventare una palla.
Il panico.
Il primo pensiero è corso all’idea peggiore. Mi sono accasciato. La mano è andata subito a premere il muscolo. Non è stato un atto volontario. D’istinto, ho infilato la punta delle dita della mano sinistra dentro il muscolo e ho evitato la contrattura senza ritorno, nonché il dolore immenso che si trascina dietro.
Francy, la mia compagna, che mi stava assistendo nell’allenamento, mi è corsa incontro.
Seduto a terra, un senso di nausea mi è salito dallo stomaco. Mi sono messo a respirare a fondo, mentre il sole mi picchiava sulla faccia e Francy, vicino, mi guardava.
Sono rimasto immobile. Il ginocchio piegato fino al petto, la mano sempre lì.
“Calmo” continuavo a ripetermi. Sapevo che dominare quei primi attimi sarebbe stato cruciale. Li lasciai scorrere, come un’onda di terrore e di dolore che dovesse per forza passarmi attraverso.
E così fu. La contrattura mollò l’osso, la sensazione di vomitò la seguì, e io potei girami verso la mia compagna.
“Ti prego, Christian, sei volato! Anzi, prima hai avuto uno scatto stranissimo della gamba e poi ti ho visto a terra. Cosa è successo?”
“Una contrattura, fortissima”
“Sicuro che non sia uno strappo?” la guardai terrorizzato. Non solo significava l’addio al campionato europeo, ma avrebbe avuto ripercussioni enormi sul mio lavoro per anni.
“Spero di no.” Fu letteralmente una preghiera.
Rimasi ancora un pò giù, poi lei mi aiutò ad rialzarmi. Distendevo a malapena la gamba. Di appoggiarla, nemmeno a parlarne.
“Non lo so ...” le dissi
“Se fosse strappato, penso sarebbe insopportabile.”
“Lo penso anch’io.”
Sono rimasto fermo per una decina di giorni. Poi, un poco alla volta ho recuperato. Aveva avuto ragione lei.
Adesso ho ripreso ad allenarmi. Per esperienza so che questi sono avvisi da non trascurare.
Comunque, siamo ancora in careggiata. Oggi mi trovo con i miei allievi migliori che mi faranno sia da sparring che da supporto.
Si continua.

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