30 maggio 2015

SULLA VIA DI NIZZA, 30 MAGGIO 2015, ORE 22,36



Sono in terrazza, a casa mia. Una leggera brezza soffia tra le foglie degli alberi. Nel suo silenzio, il bosco è una compagnia confortante. Sabato scorso ho partecipato al campionato Nazionale Libertas. L’intento era quello di effettuare un primo controllo sulle mie condizioni, sia fisiche che tecniche che mentali. Praticamente, per vedere da vicino il groviera della mia attuale condizione di competitor. Sapevo che la gara era tutt’altro che facile con nomi eccellenti quali quello di Roversi, Bonato e Ferraro. Poco prima che iniziasse la gara, in quei rari momenti in cui era permesso accedere al tatami, ho guardato attentamente ogni atleta: come si muoveva, i punti forza e dove poteva vacillare. E ho chiaramente sparato anch’io le mie tecniche. Ad un certo punto[C1]  – a detta del mio allievo Fabrizio, poco dopo argento nel kumite - sembrava si fosse istaurata, senza mettersi d’accordo, una sorta di sparatoria a distanza di tecniche espresse alla massima velocità. Massima? Avevo i miei forti dubbi, almeno per il sottoscritto. Comunque, ho assaporato l’entusiasmo della sfida lanciata. Ho percepito una gran voglia di fare, una gran voglia di non regalare nulla, di combattere. Tuttavia, senza acrimonia.  Come avrebbe poi detto la medaglia d’argento Bonato “Il vero valore del fare gare: divertirsi e rispettarsi”. Ma torniamo alle condizioni personali: Il livello di concentrazione l’ho trovato buono, quello tecnico discreto, mentre quello fisico, come mi aspettavo, era a non più del 30%. Le gare sono fantastiche per questo. Sono uno specchio inesorabile. Tutto il resto sono parole vuote. Conta quello che sei lì dentro e la verità salta sempre fuori. Poi, bisogna avere l’umiltà di affrontarla, questa verità.  E in vista di Nizza non c’è test migliore. Non mi aspettavo di portare a casa la medaglia, e ovviamente sono rimasto piacevolmente sorpreso. Ma sono ben lontano dalla condizione di Torino 2013. Ho preso i miei appunti per casa e ho già cominciato a correggere il tiro. Quattro mesi, 120 giorni, diamoci da fare.
Vi voglio bene,
Christian
   

 

Nessun commento: